.......I pensieri trasformano la Terra.

giovedì 21 luglio 2011

Genova 21 Luglio 2001

Io ero a Genova, il giorno dopo l'uccisione di Carlo Giuliani.
Mi ricordo che sul pullman da Pisa pareva di essere in una gita di scuola, nonostante il timore di non sapere cosa avremmo trovato lì.
Mi ricordo che andavamo in corteo e c’erano tante risate e tanto caldo: gli abitanti genovesi, nonostante il caos di quei giorni, ci spruzzavano acqua dai terrazzi per rinfrescarci. Qualche prete ci salutava complice da dietro il portone della propria chiesa.
Mi ricordo che si mangiucchiava qualche panino improvvisato, comprato nell’unico negozio aperto preso d’assalto molto ordinatamente: quel gestore ci avrà benedetto non so per quanti anni.
Poi, d’improvviso, ci troviamo davanti una schiera di poliziotti; ci giriamo e c’erano anche dietro. Poi apparve un elicottero che volava a non più di 20 metri sopra le nostre teste, sparandoci addosso lacrimogeni dall’alto. Non avevamo alcuna via d’uscita, rischiavamo il massacro, quando cominciarono a manganellare le prime file: non capivamo perché. Poi abbiamo visto venire i black block che lanciavano pietre ed abbiamo capito con chi ce l’avevano: peccato che a sanguinare eravamo noi, con le braccia alzate per far capire chi dover beccare, senza riuscirci. Solo la mediazione di una rappresentante politica con le forze dell’ordine riuscì a creare un varco tra la polizia per farci defluire sotto gli sguardi minacciosi di quei visi contriti e protetti.
Con un mio amico ci defilammo in una strada traversa, ma non bastò. Ad un certo momento sentimmo da lontano grida e rumori in avvicinamento. Fu un attimo: riuscimmo a ripararci in una corte privata, prima che lo sciame dei black block arrivasse di corsa dietro di noi, inseguito dai poliziotti. Vedemmo una jeep incendiarsi, cassonetti divelti, vetrine infrante: che c’entrava questo con noi? Sbucammo fuori quando rimase per strada solo la polizia. Ingenuamente, ci sentimmo al sicuro e chiedemmo ad un poliziotto quale percorso si potesse fare per non incappare in incidenti e pericoli, per tornare alla piazza dove ci aspettava il pullman.
Ci squadrò: capì che eravamo del corteo, ma che eravamo innocui. Ci urlò di andarcene subito: lì per lì rimanemmo a bocca aperta, presi di contropiede da quella reazione inaspettata. Ce lo ripeté con più vigore, agitando il suo bastone nero. A quel punto capimmo e ce ne andammo speditamente.
Da sopra un terrazzo, un signore ci chiamò e ci invitò a salire. La sua aria dava fiducia ed avevamo un disperato bisogno di aiuto: dopo una breve occhiata fra noi, decidemmo di salire. Appena entrati, ci accolse sua moglie e suo figlio, con problemi celebro-motori. Davanti ad un salutare caffé (al mio amico era venuto nel frattempo un comprensibile mal di testa e gli portarono pure un'aspirina), il signore ci raccontò dei suoi trascorsi stalinisti e di come era Genova un tempo. Dichiarandoci spersi, si offrì di accompagnarci in auto fino al pullman. Accettammo col cuore in mano. Mille ringraziamenti, signore, fu proprio un angelo, lei e la sua famiglia. Ma forse lei preferirà un "grazie, compagno. Saluti fraterni".
Ritengo che non ci siano eroi di nessun tipo a Genova.
Solo una grande occasione mancata.

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