.......I pensieri trasformano la Terra.

sabato 12 febbraio 2011

IL PICCOLO ESSERE

Il potere ci prende allo stomaco e non ci lascia più. È come un piccolo essere che interlaccia i suoi tessuti molecolari ai nostri, prolunga le sue vene fino al nostro corpo e oltre, aggancia il suo sistema nervoso al nostro a suon di frustate sinaptiche, vive del nostro battito cardiaco. E, al momento opportuno, ci inonda di endorfine che ci elettrizzano, ci danno un vivido piacere totalizzante, ci liberano la mente dalle negatività, pompano la nostra autostima. Come si fa a dire di no?
Certo, il piccolo essere vuole qualcosa in cambio, ma non te lo chiede: se lo prende. E quindi spesso non c'è dato di accorgercene, oppure lo ignoriamo nel terrore di realizzare l'enormità di tale costo. Ma cosa è, cos'è che ci sottrae impunemente? Per rispondere a questo quesito, occorre andare a trovare un caro amico del piccolo essere.
Se pensiamo a dove più il potere si sviluppa, prolifica e permane in maniera darwinianamente schiacciante su tutto il resto, notiamo una forma di organizzazione verticistica, più o meno consapevole e conosciuta. La società occidentale e non è organizzata in modo che esista un capo e infiniti sottocapi sotto di lui; le aziende nella maggior parte dei casi rispondono ugualmente a questa logica; il sistema familiare è esso stesso parte integrante di questo processo ed anzi, proprio perché spesso è strutturato in maniera gerarchica, è fonte dell'abitudine alla gerarchia fin da piccoli.
Un sistema perfetto, che si autoriproduce e si autoalimenta. Come il piccolo essere.
Ma qual è quel suo amico senza il quale lui stesso non potrebbe letteralmente vivere? Il ricatto.
Un capo comanda solo se è in grado di ricattare chi gli sta sotto: se tu non fai così, allora ti succede questo. Un rappresentante delle forze dell'ordine non avrebbe alcuna autorità senza il ricatto dello spararti, senza una legge che lo tuteli fortemente dandogli altri strumenti di ricatto. Un padre e una madre, spessissimo usano il ricatto per far fare ai figli quello che vogliono: se tu non fai così, allora ti succede questo.
Tutto ciò può sembrare esagerato e radicale: pensateci, è così. Possiamo intimamente dare un'accezione negativa o positiva a quello o quell'altro ricatto, ma questo non evita che la faccenda stia in questo modo.
L'unico caso in cui il potere non si basa sul ricatto, è quando una persona acquisisce autorevolezza agli occhi degli altri per meriti, per azioni intraprese, per comportamenti virtuosi, per intelligenza e saggezza. Allora gli altri gli concedono forme diverse di potere, che spaziano dall'ascolto attento, alla possibilità di gestire su mandato la propria società. Ma questo potere è difficile da ottenere e, spesso, una volta ottenuto, si mantiene con difficoltà. Allora tanto meglio usare il ricatto.
È a questo punto che il piccolo essere entra in scena con un ghigno: "ne ho fatto fesso un altro!" e lui si nutre, cresce e si moltiplica. E subito si prende il tuo corpo, il tuo cuore, la tua anima. Messa così sembra una favoletta per bambini: se ti sembra una favoletta per bambini, allora probabilmente hai sperimentato un po' di potere, più o meno consapevolmente, hai sperimentato il ricatto, più o meno consapevolmente.
Ne "Il Signore degli Anelli", Tolkien ci dice che la razza umana non è in grado di gettare l'anello del potere nel Monte Fato, l'enorme vulcano in cui è stato forgiato. Eppure l'anello alla fine dentro il magma ci va, per caso, per un disguido tra esseri fantastici non umani, che però rappresentano lati tipici dell'umanità. Chi non ritrova un po' di Frodo e un po' di Gollum in se stesso?
Allora forse le cose stanno diversamente, allora la possibilità di liberarci del potere alberga anche in noi. Basta cercarla.

L'IMPALCATURA

Fuori dalla mia finestra vigila un'impalcatura da più di un anno. Sono al quarto piano e questa vista mi comincia ad angosciare. Perché? Forse è brutta, limita un po' la vista. Ma no, non è per questo.
È che può montarci sempre qualcuno su quelle assi, può sempre esserci qualcuno davanti alla tua finestra. Anche alle tre di notte. E non è la paura di essere spiato o derubato o aggredito (finestra e tenda funzionano egregiamente), ma un mix micidiale di sensazioni: quella di non poterti sentire solo mentre guardi il cielo; quella di non poterti sentire in intimità con te stesso, completamente, in quella stanza; l'incazzatura di dover tirar giù la tapparella e fare buio anche quando non vuoi per creare un surrogato di isolamento, chiuso come in una scatoletta da supermercato autocostruita.
Ecco io vorrei avere un'impalcatura che viene e va a mio piacimento, che mi dia il brivido di una possibile presenza oltre-finestra quando ne ho voglia, che sparisca quando voglio il quotidiano.
Un po' come una televisione che spengo e accendo... forse no... davvero la televisione la spengo e la accendo a mio piacimento? E quando la spengo, riesco ad avere una sensazione di intimità con me stesso oppure mi sento a disagio nel silenzio? E quando la accendo la uso la televisione o mi faccio suggerire acriticamente? Ci stanno tante vie di mezzo tra queste estremità e le risposte stanno lì (mai nel mezzo preciso, comunque, almeno un pochino più in là: il centro perfetto è l'unica estremità davvero irraggiungibile). A pensarci bene, a volte, con la televisione accesa, ho un po' le sensazioni da impalcatura forzata. E allora la spengo. Tra l'altro, in prospettiva, stanno un metro l'una dall'altra e forse un pochino, in questo anno e passa, si sono influenzate a vicenda: "siete una coppia che non mi piace per niente, voi due", ho appena detto loro, ma non mi hanno risposto. Loro non parlano, nemmeno la televisione, nemmeno quando è accesa. Ricordiamocelo: la televisione non parla o almeno non parla con te. Bisognerebbe ascoltarla come le chiacchere al bar, come dal parrucchiere, oppure come a teatro davanti ad uno spettacolo o al cinema. Non cadete nella tentazione di scambiare un po' della vostra intimità col televisore, giusto per sentire meno la solitudine: la televisione non fa compagnia. E non cadete nella tentazione di condividere le vostre paure con un'impalcatura: prima o poi la smontano.

LA LIBERAZIONE DEL CUORE

Chiudete gli occhi. Ascoltate il vento che pulsa dentro di voi. La malattia non esiste. La cosiddetta scienza non vi guarisce, l'occidente non è più così potente come crede. Lourdes sta guardinga ad aspettarvi. E a volte il miracolo riesce. Ma da dove viene l'energia liberatrice, l'ostetrica della vostra rinascita? Ascoltate il vento che pulsa dentro di voi. Qualcuno o qualcosa vi parla "la risposta, amici miei, soffia nel vento". La mente che non riesce a spiegare se stessa, svicola aggrappandosi a maniglie divine: e ce ne fossero di maniglie comunque così efficienti! E allora i miracoli ci aiutano a capire come si guarisce: perché fermarsi a Dio, quando abbiamo davanti l'opportunità di capire come qualcuno ha guarito se stesso?
Chiudete gli occhi. Sentite che il vostro sospiro, di fronte a questi interrogativi, vi sta chiedendo di mollare la zavorra? Lasciatevi trasportare verso il fondo di voi stessi, abbracciatevi da piccoli e datevi quell'amore di cui solo voi sapete la misura, la qualità, la profondità giusta e necessaria. I genitori spesso si illudono di sapere chi sono i propri figli meglio di loro stessi, e spesso propinano involontariamente questo messaggio alla progenie: ma non è così. I vostri errori e le vostre malattie vivono con voi, non abbandonateli, non disprezzateli, non ignorateli: vi stanno chiedendo ascolto, amore, un abbraccio. Potete salire più su, dai vostri piedi fino ai genitali, fino al cuore, fino ai capelli, fino all'aura più magica di voi stessi. Esiste, se la ascoltate, nel vento, dentro di voi.
E l'anima si fa tangibile, finalmente potete toccare chi siete, chi sareste stati, chi sarete. Potete formare il vostro destino come mai è stato, potete risollevarvi, guarire, per caso, verso un obiettivo che va oltre il filo d'erba che è la malattia.
Guarire è essere se stessi con coraggio, fino in fondo alla sofferenza e all'accettazione, con l'accoglienza del buio, al buio, delle nostre parti più volutamente (da chi?) nascoste. E solo dal buio si intravede una luce, senza occhiali a proteggere, lasciandosi ustionare gli occhi e le lacrime dall'immensità di ciò che siamo.

LA NOTTE DA CASA MIA

La trasparenza della notte tinge di tenui colori pastello i neon delle case. Corpi sinuosi si affacciano temporanei al mio sguardo quasi furtivo, dalle finestre, avvolti nelle tende domestiche, ignari, o forse consapevoli. C'è un sottile piacere voyeristico nel pensare che qualche sconosciuto o sconosciuta dall'altro palazzo sta guardando verso di te: "è la situazione ideale", pensi per un attimo; hai la tentazione di spogliarti delle inibizioni e provare un erotismo orgiastico urbano, senza webcam, a portata d'aria. Poi ti rendi conto che sei riconoscibile, rintracciabile e l'energia pungente, prima motore di fantasie, si trasforma immediatamente in disagio e poi paura. Ti ritiri nei tuoi sogni rossi e neri, e la tua parte bambina osserva nervosa se nessuno abbia visto, se nessuno abbia giudicato.
E fuori da casa mia, ancora luci accese disegnano casuali colori su sfondo blu notte, la fotografia si compone davanti agli occhi, come sempre le meraviglie del mondo vanno però cercate, volute, annusate, assaggiate. Occorre andargli incontro come vecchi amici o come ammiratori solitari, come sillabe pronte ad entrare a far parte di un discorso, a dare un senso compiuto a quel pezzetto di esistenza che vivi, in quel momento, negli istanti che fuggono al tempo ma non alla memoria, non allo stupore.
Poi l'esperienza si chiude, come in se stessa, ad accudire il vissuto, come un'orchidea che racchiude la sua preda vitale per scomporla, per estrarne i pezzi che nutrono la crescita, che combinano le sinapsi e giocano tra la nostra mente. La conclusione è un altro fiore, di profumo e colore.
Di nuovo dalla notte spunta la speranza.