.......I pensieri trasformano la Terra.

lunedì 28 novembre 2011

L'antipolitica miope

L’antipolitica oggi va tanto di moda, a ragion veduta. Eppure mi sembra che scaricare tutta la rabbia causata dalla crisi e dalle sue nefaste conseguenze sui soggetti politici sia esagerato e controproducente. Perché una grossa fetta di questo ragionevole nervosismo non lo spalmiamo un po’ anche sul pane? E perché non lo riversiamo sui giocattoli strappandoli di mano ai nostri figli? E perché non la mostriamo pubblicamente scagliando il nostro cellulare contro un muro? E perché, oltre a manifestarlo attraverso cortei contro la aziende che vivisezionano per esperimenti, non lo facciamo anche non comprando cosmetici testati su animali?
Insomma, le ditte talvolta mescolano alla farina strane sostanze come gesso e calce, usano plastica illegale, tossica e cancerogena per costruire i giocattoli che poi i nostri figli si ficcano pure in bocca, nascondono ed ostacolano studi che dimostrano o sospettano una correlazione tra tumori al cervello e leucemie giovanili e l’uso del cellulare, e noi stiamo a strapparci i capelli per i politici che prendono il vitalizio? Certo è sacrosanto, certo un Paese civile deve controllare i propri governanti e bacchettarli sulle mani quando serve (e serve sempre), certo la corruzione è un cancro che immobilizza e poi uccide uno Stato… ma occorre indirizzare le proprie attenzioni anche, e soprattutto, alle merci che acquistiamo. Il “potere di acquisto” di una famiglia non solo bisogna calcolarlo nella quantità di denaro che si è in grado di spendere, ma anche considerarlo come lo strumento con il quale scegliamo che economia finanziare: in un supermercato, in un negozio, in una boutique, occorre esercitare il nostro potere di acquisto nello scegliere il prodotto, secondo dei parametri che non siano solo quelli della moda o del gusto personale, ma anche, per esempio,  l’eticità del produttore e la garanzia che riesce a darci sui materiali che usa. Dare i nostri soldi a chi ha pochi scrupoli a sfruttare la manodopera, a usare fornitori inaffidabili e incontrollati ma economici, a fare affari con mafie di vario tipo, è irresponsabile e non più sostenibile.
Bisogna impegnarsi di più, per esempio, nella lettura degli ingredienti dei prodotti alimentari che acquistiamo, domandarsi e cercare le risposte (magari su internet) di cosa significano alcune di quelle parole che risultano certamente ai più incomprensibili, impegnarsi di più nel pretendere il meglio per noi stessi e per i nostri figli.
Ma non c’è nessuno che mai lo farà per noi: ci dobbiamo pensare da soli, usando quel potere, più grande di qualsiasi Stato o corporazione lucrativa, che è la nostra libertà di scelta.

lunedì 14 novembre 2011

Stati Uniti d’Europa: se non ora, quando?

Ci sono dei momenti in cui, come dice De Gregori in una sua famosa canzone “per salvarti la vita, devi rischiare di più”. Penso proprio alla situazione italiana e a quella europea più in generale: la stretta finanziaria fa sentire sempre più male, aumentando vertiginosamente i guadagni lucrativi di pochi abili cuculi senza scrupoli, pirati legittimati da regole sospinte a creazione e mantenimento dalla finanza stessa (d’altronde, come spiegare sennò, per esempio, tutti quei collaboratori Goldman Sachs finiti nelle alte sfere – se non altissime - dei governi di mezzo mondo?). In una situazione in cui larghe mani ci stanno strozzando e togliendo via via l’aria, come salvarsi?
L’Europa, nata dai sogni di qualche statista illuminato, è finita per fare un sonoro tonfo nel reale, cascando anni or sono nelle fauci della finanza e delle banche. Ed ecco nascere l’euro, dopo qualche tempo di gestazione in menti molto poco disinteressate: già il parto fu travagliato e doloroso (per noi). Ora, non era detto che un figlio nato con tali complicazioni si portasse dietro crescendo alcune funeste dirette conseguenze: e invece siamo riusciti a crescerlo nel solco della continuità natia. O meglio, c’è riuscito chi si è impegnato tanto perché ciò accadesse. Ma, tra i vari effetti collaterali dannosi, ce n’è stato almeno uno positivo non previsto. L’euro, infatti, ha aiutato gli europei a sentirsi tali. Confrontare prezzi italiani con quelli francesi, per esempio, ci ha reso i nostri cugini d’oltralpe più vicini (può apparire un’affermazione sarcastica, ma non lo è…), ci ha fatto sentire, noi europei, un po’ di più sulla stessa barca e, paradossalmente, di più proprio adesso in cui la moneta unica sta rantolando convulsamente. Mettici la nascita dei voli low-cost ed ecco che l’Europa si è fatta all’improvviso più vicina, cosa nostra, casa nostra. Ma basta tutto ciò a fare l’Europa? Certamente no. E allora cosa fare, specie in un momento in cui mai si è palesata di più l’impotenza del Parlamento Europeo di fronte allo strapotere della BCE e di chi ci sta dietro? La risposta sta, appunto, nel “rischiare di più”: fare gli Stati Uniti d’Europa. Passato l’urto violento dell’iperliberismo e pagatone q.b. il prezzo, giusto per placarlo un poco, è proprio adesso l’ora di mettersi intorno ad un tavolo e rifabbricare una Costituzione Europea che coinvolga, in un inevitabile non breve processo, il più possibile direttamente le persone, cioè gli europei tutti, attraverso pratiche di democrazia partecipata, tra l’altro già ampiamente sperimentate in diverse parti del mondo.
Ma non sarà certo la BCE o il Fondo Monetario Europeo, né Sarkozy o la Merkel ad iniziare questo processo: bisogna farlo noi, occorre trasformare questa crisi economica in una “primavera europea” che permetta quello scatto in avanti che spiazzi i volti contriti dei cravattari abituati al potere, che scompigli le carte di chi ha fatto ancora una volta progetti di lucro sulla nostra pelle, che ci porti al fiorire di una nuova economia mondiale, basata su una più equa ridistribuzione della ricchezza, di cui solo l’Europa ha i mezzi e la cognizione di causa per fare da esempio.
Europei di tutti il mondo, uniamoci: se non ora, quando?

mercoledì 9 novembre 2011

La crisi? Ascoltiamola.

L’Italia è malata e la malattia si chiama “crisi economica”. Ma cosa è una malattia? Può essere vista come uno stato di salute che momentaneamente manca. Oppure, la malattia può essere un sintomo di guarigione, un campanello d’allarme che suona per dirci che qualcosa non va nel nostro modo di vivere, nel nostro sistema immunitario, nel nostro rapporto tra corpo e mente.
La malattia “crisi economica”, dunque, può essere un sintomo che il nostro sistema non va, che non è adeguato al nostro stato di salute, che intacca il rapporto tra Stato e cittadini sempre più in profondità, che divarica il rapporto tra ricchi e poveri, aumentando il numero di quest’ultimi.
Allora come si supera la crisi? Ascoltandola.
Ignorare la gran voce di una malattia, ingurgitando pasticche che la facciano semplicemente stare zitta, non risolve il problema che l’ha generata, ma lenisce solamente i suoi sintomi. I tagli “lacrime e sangue” già adoperati e quelli futuri, non sono altro che pillole: il problema strutturale di questo modello economico rimane ed è piuttosto evidente.
Riuscire a trasformare uno stato di salute comatoso in un sintomo di guarigione significa un balzo in avanti verso una prospettiva necessariamente ed urgentemente vicina che non comprenda più i giochi finanziari come li abbiamo conosciuti fino ad oggi, che non comprenda più lo strapotere delle agenzie di rating, che non comprenda più le corporation di vario tipo come organizzazioni che dettano la politica mondiale, che non comprenda più i paradisi fiscali.
Come fare? L’Europa politica e monetaria dovrebbe intanto interrogarsi su questo orizzonte e non altro, dovrebbe spendere i propri migliori uomini nel disegnare uno scenario economico che sfrutti la crisi, che faccia tesoro degli errori del turbocapitalismo da cui l’Europa è appena malamente passata, e detti le linee guida alle nazioni europee per una economia più legata ai beni materiali, al lavoro come risorsa, alle famiglie, piuttosto che alle speculazioni finanziarie.
Altrimenti siamo destinati a rimanere legati a dei “medicinali” atti alla bisogna non nostra, ma di mostri corporativi “farmaceutici” senza scrupoli.