.......I pensieri trasformano la Terra.

lunedì 30 maggio 2011

Le amministrative e l'italiano medio

Che cosa strana. E’ come quando ti rendi conto di esserti sobbarcato un peso, una responsabilità, solo quando te ne liberi. Hai un frizzante piacere alla nuca ed un senso di rilassatezza sulle spalle.
Ecco, queste elezioni amministrative le rappresenterei un po’ così, tra il somatico ed il politico, tra la fisicità, entrata in maniera dirompente sulla recente scena elettorale, ed un nuovo senso della legalità, vera protagonista di questa stagione.
Che sia questo lo schiaffo che segna il risveglio dal ventennio videocratico? Vuoi vedere che tutto questo attaccare la cultura ha cominciato a far attaccare l’italiano medio alla cultura?
Penso che tutto ciò sia il sintomo di una crescita di Popolo, spinta anche dai moti d’Africa, di recente sostenuta dalla Spagna, fertilizzata dai clandestini sui barconi, tenuta stretta dai festeggiamenti sul 150°, disciplinata da una voglia di efficienza e civiltà germanica sempre più pressante, specie al sud.
Gli italiani hanno una vocazione europea molto più dei governanti italiani e non, molto più dei grandi gruppi bancari che hanno creato la moneta unica: questa nuova primavera segna una svolta nell’approccio all’italianità, che mutua dai popoli europei un miglior senso civico e un più coeso senso di appartenenza, che ci faccia sentire cosa a se stante da chi ci governa.
Non culliamoci, però, troppo sugli allori: la strada è ancora lunga ed impervia.

sabato 21 maggio 2011

"Capra! Capra! Capra!"

«Capra! Capra! Capra!» urlò il Super Io dell’Auditel al povero Vittorio, pioniere incompreso della Cultura con la “C” maiuscola, anche lui travolto dalla valanga del berlusconismo videocratico scivolato giù, come un Vajont annunciato. La maschera del Silvio condottiero sbandierata in ogni sua piazzaforte giornalistica, la dice lunga sul muso lungo dei falso-destristi di questo moderno ventennio annacquato, muso che palesa il maldestro tentativo di coprire la verità con ceroni e fondotinta catodici. E la primavera che si sente in giro sta a significare che lo sprovveduto Popolo Italico se n’è accorto, a cominciare proprio laddove nessuno se lo aspettava (o in pochi): Milano e Napoli. I cosiddetti massimalisti hanno vinto la prima partita, dagli ex-rifondaroli, ai populisti dipietristi, ai grillini. E questa orgia di estremismo di sinistra (non me ne voglia il buon Beppe se lo apparento da questa parte) si è rinforzata e coesa proprio grazie ad un estremismo di destra che si è palesato sempre più, provando ad uscire dal cavallo di Troia del moderatismo in cui fino a poco tempo fa si nascondeva: la prima a sbarcare per la crociata è stata la Santanché, quasi un umano ariete da sfondamento.
E non sembra che il PD sia troppo deluso di aver perso le primarie a Milano e tracollato a Napoli. Pure Fassino a Torino pareva spaesato (ha ragione Crozza). Perché?
Tra le braci del popolo comunista che fu ai tempi di Enrico Berlinguer, si sta accendendo un fuoco che cova da anni: hanno tentato di buttarci acqua con pompe a idrogetto per vent’anni ma, evidentemente, non sono riusciti a spegnerle. E coloro che hanno fallito in questo, oggi sono ancora nelle dirigenze PD (Bersani escluso): ma sembra che da tutto ciò siano quasi sollevati, come se gli avessero tolto un peso.
La storia sta travolgendo, partendo dal Nord Africa, tutti gli equilibrismi di opportunità delle sedie al potere, la crisi sta ignudando il carnevale della politica, la gente si sta riappropriando di ciò che gli spetta.

giovedì 19 maggio 2011

Inerzia

Ogni umanità dovrebbe essere deputata alla ricerca del più alto profilo della propria esistenza: invece, siamo tutti piccoli ripiegati in noi stessi e con poche ali a disposizione, spesso di cera. La fascinazione della perfezione ci ferisce e ci mortifica, lasciandoci inchiodati davanti a tale illusione. E alla televisione la nostra vita passa, beata di se stessa e giustificata da una notorietà immaginata ed ignotamente pericolosa. Perciò scansiamo le scomodità, ci rendiamo ridicoli davanti ad una piantina che nasce (e non lo riconosciamo), davanti ai nostri figli che nascono. E a pochi anni hanno già imparato a schernirsi della nostra pochezza genitoriale, ad abituarsi a percorrere la vita senza di noi, a brancolare nell’incertezza con il placito sostegno di ebbrezze artificiali ingurgitate e vissute con drammatica facilità. Lo sciame umano passa su questa Terra senza lasciare un segno che valga l’esistenza, generando progenie per inerzia: ma la fisica ha le sue leggi ed un moto inerte non ha più energia propulsiva. È destinato alla fine, ad uno stop, forse per un nuovo inizio. Forse.

martedì 10 maggio 2011

Meno male che Silvio c'è (stato)

E non è una gufata. È solo un’analisi retrospettiva fatta in un immaginifico futuro prossimo, ma senza date certe. I titoli da fantascienza spesso riportano l’anno, tipo “2045 – fuga da Arcore” (o giù di lì), ma in questo caso non è proprio possibile indicare dov’è lo striscione di arrivo. E nemmeno quanta e quale gente sarà a tifare nella volata finale. In questo crogiolo di metafore a capicollo, il centro del ragionamento è sempre lui: il cavalier Silvio Berlusconi. Chissà perché quando sento queste tre parole in fila (non poche volte), mi appare sempre, e dico sempre, il quadro di Napoleone sul suo cavallo rampante, solo che al posto del volto dipinto dell’Imperatore esiliato, c’è la testa del Silvio, un po’ come quando si sbuca col capoccione dall’ovale ritagliato dal compensato pitturato a guisa di uno sceriffo o di un torero e c’è il fotografo pronto a immortalare una delle immagini di cui ognuno di noi vorrà disfarsi dopo un annetto, divorato dal rimorso e dalla vergogna di aver trovato questo giochino di una qualche innocenza, accompagnato dallo stucchevole pensiero “l’hanno fatto in tanti… ma su, facciamolo che tutto sommato è divertente!”.
Meno male che Silvio c’è stato, si diceva. Guardiamoci un po’ intorno, magari anche negli occhi, noi italianetti del dopo-berlusconia: “Ma guarda il tuo viso! Non ti riconosco più, Paolo!” dice una casalinga (quasi un’umana rara in via di estinzione) al suo maritino: stupita ed attonita, non riesce a riconoscerlo, tanto è cambiato il suo punto di vista. Non se l’aspettava, la Giulia, un così brusco risveglio, un così potente e ondivago giramento di capo, frastornata dalla mancanza di sostegno alle sue certezze, o meglio alle sue  abitudini. Perché si sa, noi italiani siamo tra i migliori sulla Terra ad abituarsi a tutto. Perfino i telegiornalisti faticano a ritrovare nerbo e verve davanti alle telecamere dei loro telegiornali, schiacciati dal grigiore di una telepolitica che non sa più che pesci pigliare per stimolare teleelettori ormai in attesa di un nuovo telemessia. È un Requiem, un finale da preti tipo “la messa è finita. Andate in pace”. Le chiacchere da bar vertono unicamente sul calcio, anch’esso un po’ azzoppato dalla dipartita del noto Presidente rossonero, disteso e nullafacente sulle spiagge di Santa Lucia, tra gli abbracci solari della President Bay e gli abbracci ghiaccini di mulatte prezzolate. E i rubicondi avvoltoi della sinistra ridono in panciolle come dopo una strafogata romagnola a base di tortellini e cinghiale in umido, asciugandosi le labbra unte con un tovagliolo di cencio a quadri bianco e rossi, ricamati col nome dell’osteria. I terzopolisti ingrigiano la loro serietà per renderla ancor più seria e, secondo loro, perciò autorevole, cercando di stare stretti e uniti, “mica come quelli della sinistra che dopo la cena andranno a tramare nella notte, affilando i coltelli del tradimento” (i centristi hanno sempre un po’ il pensare da Bibbia in testa, che ci vuoi fare).
I polverosi lupanari dei mafiosi hanno le ragnatele e i pizzinni si sono trasferiti da tempo nelle banche di tutto il paradiso fiscale della volta celeste, trasformati in buon denaro riciclato ed esentasse, imbiancato da cenere da risucchio nasale, rinfrescato da pale girate da vento inquinato di tangenti, e sommerso dagli scarti immondi della nostra società buttati con disprezzo in abusive cave a cielo aperto.
A gettar così uno sguardo nel futuro, non sembrerebbe che senza il cavaliere si stia tanto bene (“si stava meglio quando si stava peggio!”). Eppure, a ben guardare, ci sono delle belle sorprese.
Intanto Berlusconi ha sdoganato e reso evidente una rivoluzione sessuale che si è consumata e si consuma in questi anni, cheta e a bassa intensità, ma di portata epocale. Un po’ come il movimento femminista che è riuscito a tirar su piante e coglier frutti dopo la sessantottina semina proprio nei nostri tempi, così gli hippy di quarant’anni fa hanno sedimentato il loro ardore ideologico nell’intimità del costume italico senza che questo nemmeno se ne rendesse conto, intento com’era a respingere come stuzzicanti quelle proposte e a bollarle come opera del demonio, lasciando in realtà che la luciferina goduria entrasse sotto le lenzuola della gente perbene. Basta guardare la nuova generazione, questa progenie debosciata eppure così disincantata verso il binomio sesso-amore, come verso il binomio eterosessuale-omosessuale. Questi ragazzi fanno e dicono di fare, alla facciazza dei cinquantenni, magari loro padri, figli dei fiori pentiti. Ed il buon Silvio, avendo una instancabile sindrome da Peter Pan, si è trovato subito a suo agio in queste nuove tendenze (omosessualità a parte, s’intende. O forse quella è ancora repressa? Che a Santa Lucia ci siano anche trans sotto mentite spoglie, opportunamente strette al bacino per fugare ogni sospetto del, per forma mentis, sospettoso Putin, anche lui anziano ospite di quell’ospizio per ricchi?).
Ma le ragguardevoli positività post-berluschine non si fermano qui. La gente, se la intervisti per strada, è come stanca. Non gli parlar più del berlusconismo perché ti vomitano addosso: è proprio che le loro cellule non ce la fanno più a reggere, le loro menti sono ormai in burn-out da qualunque argomento sfiori anche solo di un soffio l’ex beneamato: la videocrazia, il chi-ha-più-danari-comanda, il partito fondato da Pubblitalia, la Padania, le minorenni, i PM comunisti e perciò eversivi, lui piduista e perciò un eroe che ha tentato di portare la vera libertà in Italia, così come il suo stalliere, le barzellette, le corna nella foto, i kapò ancora fra noi, “uno spettro si aggira per l’Europa”, eccetera eccetera.
Ed è così che gli italiani si ritrovano anche un po’ più maturi, anche un tantino più civili, hanno perfino ritrovato il gusto allo studio e la voglia di realizzarsi attraverso il lavoro, si mettono in coda come novelli tedeschi, portano ai Carabinieri un portafoglio smarrito, i Carabinieri non se lo intascano, fanno tutti con diligenza la raccolta differenziata con almeno cinque trespoli di spazzatura per abitazione, rifiutano l’aiuto di un parente per essere assunti in Provincia (incredibile, eh! Trovarle ancora dopo tanto tempo…), protestano veementi verso i loro sindaci perché non hanno riempito il tetto della scuola di pannelli fotovoltaici, votano a tutte le consultazioni con una percentuale da far gridare alla dittatura del proletariato, trattengono a stento le lacrime alla commemorazione della morte di Alda Merini, applaudono con orgoglio quando la nostra nazionale della ricerca scientifica vince i campionati dei finanziamenti pubblici tra gli Stati europei, schiaffeggiano il malcapitato quando, con ingenua tranquillità, dice “tanto qua non cambierà niente”.
Che forse mi sia spinto troppo in là con la fantascienza?
È giunta l’ora: con un ghigno famelico mi richiudo come liberato nel mio sogno rivoluzionario.